Obiezione di coscienza, anche questo è femminicidio

Ordini professionali, governatori e ministri della repubblica, opinionisti, associazioni pro vita e non, istituzioni religiose tutti li sulla notizia del momento, che non è quella che sette ginecologi su 10 sono obiettori, o che in alcune strutture pubbliche è di fatto impossibile abortire. La notizia diventa invece che un governatore e una struttura pubblica sono rei di aver disposto l’assunzione di due (esatto due) medici nella metropoli romana, per poter assicurare il rispetto di una legge! Come dire, accapigliarsi per un soccorso dato in caso di un incidente, o azzuffarsi per un dentista che si è offerto di curare un dente!

 

Ci viene alla mente una dissacrante ed intelligente canzone che nel suo motivetto faceva: “…al congresso sono tanti, dotti medici e sapienti, per parlare giudicare, valutare e provvedere, per trovare dei rimedi, per la giovane in questione…”

 

Peccato che tra tanti dotti e sapienti, non sia dia voce alla donna, ad una differenza di genere alla quale andrebbe assicurato il diritto al libero arbitrio, una libera scelta che invece in alcuni casi sembra essere diventato il problema. Ma andiamo per gradi.

In Italia la legge 194 sull’aborto esiste dal 1978: garantisce all’articolo 4 il diritto delle donne a interrompere volontariamente la gravidanza e all’articolo 9 prevede il diritto per medici e il personale ausiliario di non prendere parte alle procedure di interruzione di gravidanza se abbiano sollevato obiezione di coscienza. La norma indica anche per le case di cura e le strutture sanitarie l’obbligo di espletare il servizio, specificando che in caso di emergenza e di pericolo di vita della donna, l’obiezione di coscienza non possa essere invocata dal personale sanitario.

In Italia attualmente, circa il 70% dei ginecologi e quasi il 50% degli anestesisti, si dichiara obiettore rifiutandosi di applicare la legge. L’Italia, con la sua alta percentuale di obiettori arriva al 70 per cento, sfiorando il 90 per cento in alcune regioni e strutture, rappresentando così un esempio singolare di come possa degenerare in casi estremi, l’applicazione della legge non garantendo l’esercizio di un diritto in alcune strutture e/o in alcune zone del Bel Paese.

Secondo il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, non c’è violazione del diritto alla salute: “…Assolutamente no. Alcune aziende pubbliche hanno qualche problema di criticità dovuto a questioni di organizzazione, ma siamo nella norma…”

Nel frattempo però, l’autorità europea, attraverso il Comitato Europeo sui diritti sociali del Consiglio d’Europa, ha accolto appositi ricorsi presentati condannando in un primo tempo l’Italia per la difficoltà di applicazione della legge per le donne e anche per le condizioni in cui devono lavorare la minoranza di medici non obiettori, smorzando in seguito il parere solo dopo aver avuto dal ministero le controdeduzioni sull’argomento. Ha commentato sempre la Lorenzin, “dalle prime cose che ho letto mi sembra si rifacciano a dati vecchi del 2013 e non aggiornati”.

Diverso il parere delle organizzazioni ricorrenti che hanno puntualizzato: “… I dati sono aggiornati alla pubblica udienza che si è tenuta davanti alla Corte europea dei Diritti dell’uomo a Strasburgo il 7 settembre 2015 e non sono mai stati smentiti dal ministero della Salute e dal Governo italiano…”.

Al di là delle precisazioni e dei dati, ed al di là di ogni ragionevole dubbio, il bando del S. Camillo certifica non solo l’esistenza del problema ma anche l’assoluta correttezza del provvedimento. Il ministro alla Salute Beatrice Lorenzin aveva rassicurato a suo tempo la Corte e il Parlamento sulla situazione dell’Italia, rispondendo alle accuse e fornendo dati che segnalavano un calo di aborti di 131216 unità negli ultimi trent’anni e una diminuzione totale di non obiettori di 117 unità. Numeri peraltro ribaditi a ottobre 2015, in una relazione del ministero sull’applicazione della legge 194, in cui si contava che il carico di lavoro per i non obiettori è sceso da 3,3 interruzioni di gravidanze a settimana a testa nel 1983 a 1,6 nel 2013, e che gettava quindi acqua sul fuoco di fronte alle varie denunce che parlavano di uno stato di disagio per i medici che non optano per l’obiezione di coscienza. Qui la nostra prima considerazione: non è possibile dire che in Italia va tutto bene in base ai dati, perché dove è previsto un diritto, deve esserci anche l’assicurazione che esso sia garantito, e l’evidenza dei fatti, ultima la richiamata condizione del S. Camillo dimostrano che nel nostro paese non è così”.

Non basta il numero di aborti dichiarati per dire che l’emergenza non esiste, ma il ministero dovrebbe intraprendere azioni concrete e cominciare a verificare struttura per struttura la presenza di obiettori e la possibilità effettiva di eseguire un aborto.

L’obbligo della corretta applicazione della legge che non può restare soltanto sulla carta o peggio ancora appannaggio di alcuni. Già, perché un diritto se non lo si può agevolmente esercitare o peggio ancora divenuto tale perché ottenuto solo a fronte di un pagamento e quindi valido solo per alcune donne, non è più un diritto, diventa un privilegio!

 Il sistema sanitario nazionale deve invece poter garantire un servizio medico uniforme su tutto il territorio nazionale, evitando la condizione di “notevole difficoltà” che incontrano quelle donne ne fanno richiesta di accesso ai servizi, previsti dalla Legge 194.  E questo dovrebbe essere compito, in primis, del Ministero competente.

Ma non sono solo le donne a rischiare di essere discriminate ma anche i medici non obiettori, questo stabilisce la sentenza del Consiglio d’Europa, definendoli vittime di diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti. Una realtà in cui vittime sono le donne, a cui viene negato il diritto all’autodeterminazione, ma anche per i medici ed il personale sanitario che presta loro assistenza, che vengono discriminati, mobbizzati, addirittura denunciati di omicidio. In Italia essere medici non obiettori significa anche far fronte a situazioni del genere: non poter lavorare o farlo in condizioni di emergenza, anche se tale emergenza non avrebbe ragione di esistere. Perché chi vuole semplicemente fare il proprio dovere, accettando di aiutare una donna a interrompere una gravidanza, non dovrebbe rischiare di finire in un girone di minacce e ostacoli sul posto di lavoro.

Ai disagi legati allo svolgimento della professione e ai problemi giudiziari, si devono aggiungere le prospettive di carriera praticamente azzerate per i non obiettori. Tanto che in un quadro così complicato è sempre più arduo capire quanto per medici e personale sanitario la scelta dell’obiezione sia realmente libera, dettata cioè soltanto da motivi di coscienza o religione, oppure semplicemente opportunistica. Interessante al riguardo sarebbe conoscere i dati sull’obiezione di coscienza, nelle strutture private, se le percentuali sono le stesse registrate in quelle pubbliche, chissà se in questo caso non dovessimo sorprenderci…Potrebbe aiutare l’istituzione di un pubblico registro degli obiettori e non di coscienza, al fine di assicurare alle donne un efficace strumento di orientamento e nel contempo scongiurare che un operatore del settore sia obiettore in una struttura pubblica e magari non obiettore in quella privata!

Come Associazione, e non potrebbe essere altrimenti, rappresentando tutti i cittadini, per convinzione e non per condizione, riteniamo vadano salvaguardate e rispettate tutte le sensibilità, degli obiettori di coscienza, dei vari movimenti pro vita che per legge hanno il diritto sacrosanto di esercitare tali scelte e di chi chiede l’applicazione della 194. La donna e la sua autodeterminazione va comunque tutelata. Soltanto lei deve essere al centro delle decisioni, decisioni sempre sofferte, in qualsiasi frangente, profondamente intime non sindacabile pertanto da rispettare sempre ovunque e comunque.

Anche per questo riteniamo giusto il provvedimento del S. Camillo di portare a un migliore bilanciamento tra il legittimo esercizio dell’obiezione di coscienza e l’altrettanto legittimo ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza. In una logica di equilibrio e di buon senso, l’obiezione di coscienza che è un diritto e uno strumento di tutela, non può diventare un abuso, e deve essere sempre garantita la presenza di medici non obiettori.

A tal proposito riteniamo auspicabile, perché egualmente garantista, la costituzione di una percentuale di almeno il 50 per cento del personale sanitario e ausiliario degli enti ospedalieri e delle case di cura autorizzate che non sia obiettore nonché l’istituzione di un canale dedicato che informi i cittadini sulle modalità reali di applicazione della legge.

Per questo si chiede anche una centralizzazione del controllo e della mobilità dei medici non obiettori nelle strutture, troppe volte “tappabuchi” di un sistema sperequato, in modo che nessun medico e nessuna donna sia penalizzato. Per tutte le persone però deve essere assicurata sia libertà di chiedere un’interruzione di gravidanza che quella di rifiutarla.

Il nostro intimo auspicio è che l’aborto tenda sempre più allo zero, e per farlo si dovrebbe lavorare di più sul supporto psicologico e sanitario, sulla prevenzione e l’educazione sessuale. Ai giuristi ed ai dotti in genere rammentiamo che i legislatori hanno il compito non solo di fare le leggi ma anche di farle applicare insieme a chi dirige, a vario titolo, nelle varie strutture sanitarie.

In fondo cari giuristi e dotti non siete forse voi gli stessi che ci insegnate nelle varie aule universitarie che la giustizia è bendata e che sulla sua bilancia, quella della legge i due piatti sono posti su uno stesso livello? E non è in quelle stesse aule che cappeggia la scritta: la legge è uguale per tutti?  Oggi sulla 194 non è così. Quella giustizia, quella dea bendata che pure è donna guarda solo da una parte, negando ad un’altra donna la libertà di scelta.  Così è se vi pare… e se così fosse… non è questa una forma di femminicidio?